LOGOS

Tratterò quindi di forma, contenuto e di misura, in quanto analisi, studio e realizzazione di Logos corrispondenti, riconducibili ad una proporzione. Un esempio concreto: nella Serie di Fibonacci: 1235813... il numero successivo è la somma dei due precedenti.





Il logo risultante, è nel contempo misura e contenuto. Infatti, la Serie, oltre a coincidere con le proporzioni della Sezione Aurea, può a tutti gli effetti essere considerata la rappresentazione numerica e formale della crescita naturale, riscontrabile ad esempio, nel Nautilus. La caratteristica forma di spirale che ne risulta, per sua conformazione e duttilità, si presta a numerose applicazioni: nella costruzione di un logo, nell'impostazione grafica (gabbia) di una  rivista, o nella semplice esplorazione della struttura costituente per trarne ispirazione. Nell'esempio riportato sopra, è stata utilizzata per costruire un "calendario infinito" nel quale i 365 giorni dell'anno, in un preciso rapporto dimensionale, ne determinano anche l'aspetto grafico.
Storicamente però, i loghi si sono caratterizzati come segni semplici e sintetici. Questa è la condizione che li rende densi e universali, ed è anche il motivo per cui, quando si progetta un logo o un logotipo, ci si trova nella necessità di agire più nell'eliminazione che nell'abbondanza, fino al punto in cui il segno risultante non è niente di più e niente di meno dello stretto necessario, riuscendo in questo modo ad operare una sintesi in grado di esprimere il maggior numero di contenuti specifici, con il minimo degli elementi. Il gioco è sottile e denso di variabili; si toglie un elemento e il senso cambia, non è sufficiente o si banalizza il tutto; lo si aggiunge ma non serve, o peggio, confonde le idee. Meglio sarebbe ricominciare da capo, seguire un'altra strada, ma quando un'idea è presente, si impone alla mente. E anche quando si affaccia un'altra idea, quando un'altra forma appare, difficile avventurarsi in quel mondo nuovo; c'è sempre un pensiero che si ricollega al precedente, serve. Spesso gli elementi sono presenti alla rinfusa, raccolti in agglomerati scombinati tra loro. Bisogna arrivare ad un calcolo, un'equazione, una ragione, che sia un risultato accettabile e soddisfacente. A volte l'idea, la sua visualizzazione, appare subito, netta e precisa, la si "vede". Si tratta allora di metterla sul foglio, di realizzarla nel modo più fedele possibile e declinarla nelle variabili del caso. Ma alcuni non si fidano delle proprie intuizioni, percorrono quindi avanti e indietro la stessa strada, facendo e rifacendo la stessa cosa, in modi diversi, finché non si completa il cerchio e tutto si chiude in un unico ragionamento, che era li fin da subito; andava solo ripulito da tutto ciò che gli stava intorno, dandogli la possibilità di manifestarsi chiaramente, in tutte le sue implicazioni che comprendevano già tutte le altre. Ecco quindi che, la maggior parte delle volte, bisogna imparare a togliere e avere il coraggio di eliminare cose che in realtà sono già presenti, contemplate e concrete nella versione originaria e solo la pulizia ci aiuta a prenderne coscienza. Magari, alla fine la soluzione trovata, non è il massimo che si potrebbe ottenere, magari non è perfetta e soprattutto non è l'unica, ma sicuramente è la soluzione migliore in quel momento, con quei dati, ed è lì, semplice e precisa; fa il suo dovere.


yin yang

Sengai
I simboli, i loghi più conosciuti, quelli che possiamo sicuramente affermare essere il fondamento di tutti gli altri, e che potremmo considerare gli archetipi del pensiero, sono quelli che nelle religioni sono stati elaborati nella rappresentazione di Dio. La Croce, la Svastica, l'Yin Yang e la Stella di David, possono essere considerati i simboli primari, da cui presumibilmente derivano tutti gli altri, sia in relazione alla loro specificità (la rappresentazione di Dio) ma soprattutto formalmente. Il primo aspetto, quello storico/religioso, nasce ovviamente con il bisogno dell'uomo di esprimere e manifestare la propria tensione spirituale e gli interrogativi sul mondo che lo circonda, ma è indicativo il fatto che fin dall'inizio abbia sentito l'esigenza di sintetizzare visivamente un pensiero complesso, come quello di un entità superiore, con un segno che fosse il più semplice possibile e nel contempo fosse in grado di esprimere il maggior numero di significati e di contenuti specifici del proprio sistema filosofico/religioso. Analizzerò in seguito le specifiche caratteristiche di ogni simbolo e i contenuti che esso esprime, sia in sintonia che in alternativa rispetto agli altri, ma occorre qui rilevare immediatamente un aspetto formale: tutti i simboli di cui stiamo parlando, sottendono strutturalmente (ed ognuno una diversa) le tre figure geometriche fondamentali: il triangolo, il quadrato e il cerchio (svastica e croce insistono sulla stessa figura compositiva, il quadrato). Ciò è stato possibile grazie alla caratteristica originaria di questi simboli. Pensare oggi di poter creare uno simbolo utilizzando le figure primarie del triangolo, del cerchio o del quadrato, è assai arduo; si ricadrebbe infatti in un immediato rimando a quelli originari; il che, tranne in alcuni casi specifici, non può assolutamente essere conveniente. Ad un simbolo infatti, si richiede l'originalità rispetto a tutti gli altri, pena l'inutilità o la confusione.
Inoltre, le figure fondamentali possono, in astratto, essere correlate a dei colori. In astratto assocerei il rosso alla croce, il giallo al triangolo e il blu al cerchio, ma altre combinazioni potrebbero essere possibili. Nella bandiera giapponese, ad esempio, il cerchio rosso acquista una notevole potenza espressiva ed un significato preciso. In aggiunta, occorre già notare, che questi colori, associati alle forme di cui abbiamo parlato, saranno poi la base delle pratiche relative alla composizione dei colori  nelle teorie relative alla "sintesi additiva" e nella "sintesi sottrattiva" che tratterò nella sezione dedicata al colore. Ma veniamo ora ad un altro aspetto, apparentemente semplice, ma denso di considerazioni e sviluppi. Tutti questi simboli religiosi hanno una caratteristica comune; come abbiamo visto essi sottendono le tre figure fondamentali della geometria, ma in più queste figure sono accoppiate a due a due, e queste coppie sono utilizzate capovolte e intersecate, disposte cioè, in modo che ciascuna si combini con l'altra formando un ulteriore sistema unico, più complesso e strutturato. La croce, ad esempio, apparentemente la più semplice, combina due elementi lineari, sinistra/destra, orizzontale e alto/basso, verticale. Sia che i due segmenti siano centrati o no, ci troviamo in presenza di una precisa e significativa divisione dello spazio, nel quale i due segmenti, le due semirette, identificano chiaramente due elementi simili, ma diametralmente (ortogonalmente) opposti, l'uno orizzontale (la terra?) l'altro verticale (il cielo?) inscrivibili in un ipotetico quadrato che li contiene e del quale ne descriverebbero gli assi, le mezzerie. L'altro simbolo molto simile alla croce, ma più "specifico", più preciso nella sostanza e che contemporaneamente ne descrive meglio la struttura, è la svastica. In essa ritroviamo lo schema sinistra destra e alto basso, ad esso però sono state aggiunti altri quattro elementi (prolungando i terminali dei due elementi centrali della croce) che da una parte accennano ad una descrizione del quadrato strutturale sotteso, dall'altra determinano un effetto generale di maggiore energia e dinamicità. Sia che si sviluppi in senso destrorso che sinistrorso, la svastica, pur mantenendo i due elementi intersecanti opposti, dà, in definitiva, un senso di movimento e di evoluzione del sistema stesso, eliminando, pur nella maggiore complessità, quella staticità caratteristica della croce. Il "dio" è lo stesso, ma quello della svastica è un dio che concepisce ed opera già nell'evoluzione. La svastica è un simbolo caratteristico delle culture orientali, culture nelle quali è presente l'idea del cambiamento, dell'evoluzione, del "eterno ritorno". Anche qui, come nella croce, i segni fondamentali sono le due rette centrali che si intersecano e sottendono la figura statica del quadrato, anzi la descrivono meglio, precisano un'entità unica a cui esse appartengono, ma si sente l'esigenza di caratterizzarle anche dal punto di vista del movimento, della storia, dell'evoluzione. Il mondo di cui ci parla la svastica, non è un mondo statico, creato una volta per tutte, eterno e che non può cambiare, ma che prende vita dal movimento e di esso si avvantaggia.


In particolare il simbolo della croce rossa ha avuto ed ha una storia complessa e articolata. Nella sua forma attuale, deriva dalla bandiera svizzera con i colori invertiti, ed è stato adottato dalle associazioni umanitarie, che ancora prima delle guerre mondiali, avevano costituito un comitato internazionale per il soccorso dei feriti e necessitavano di un simbolo universalmente conosciuto e immediatamente riconoscibile in grado di affermarne la specificità e la "neutralità". 


In realtà, l'originario simbolo della croce rossa (che comprendeva anche la mezzaluna rossa), come la bandiera svizzera,  era composto da una croce con i bracci orizzontali e verticali di quattro quadrati. Successivamente, nella sua definizione si scelse di prolungarli di un sesto e si definì esattamente il colore: 100% red - 100% yellow. Significativamente, in seguito, anche Israele richiese che fosse inserita, (visto che i simboli religiosi cristiani e mussulmani erano rappresentati) anche la Stella di David rossa. Ciò portò alla necessità di un ulteriore accordo internazionale che definisse un nuovo protocollo per l'adozione di un simbolo uguale per tutti ma che potesse includere i simboli nazionali, e questa fu la sua evoluzione.





Il triangolo è già una superficie esplicita, non più solo un segmento, una retta; esso rimanda alla perfezione degli elementi che lo compongono e la sua struttura chiusa, identifica uno spazio, un mondo, un sistema di pensiero compiuto e definito. Nell'iconografia cattolica cristiana, il triangolo è presente col senso della perfezione divina e nel concetto di Trinità.

Scudo di David

L'esagramma qui raffigurato, che parrebbe avere anch'esso un'origine indiana, è il primo esempio di configurazione stellare, è utilizzato con diversi significati in altre culture, e diventerà il simbolo classico della cultura ebraica, col nome di "Scudo di David". L'utilizzo del giallo, oltre che concordare con la configurazione triangolare originaria, ben si addice ad una rappresentazione del sacro, intesa come, luce e ricchezza. Ci troviamo in presenza di una concezione divina ben diversa da quella caratterizzata dal rosso della croce. Ciò che là era Sangue, Passione, Amore; qui si esprime principalmente in un atteggiamento di "illuminazione" e di Grandezza. La struttura è evidentemente più complessa e ricca di contenuti (anche esoterici e che rimandano agli elementi naturali). Le direttrici spaziali alto/basso, sono ben precise e definite, e l'intreccio dei due elementi triangolari allude a una complessità dei fenomeni più articolata. Và notato però che pur nella struttura stellare comune, nell'intreccio, i due elementi rimangono distinti. Non rimane che da rilevare che da questa, molte altre stelle hanno caratterizzato la comunicazione, dando vita ad un vero e proprio genere, ampiamente classificato nella Convenzione di Vienna. Alcune di queste le ho utilizzate per la Comunicazione Istituzionale di un centro espositivo  con questo nome.

1, 2, 3, stella.
Il più denso di tutti i simboli primari, è sicuramente l'Yin Yang. La sua struttura fondamentale è la terza figura originaria: il cerchio, con il senso universalmente accettato di "Tutto" ed è il più complesso e strutturato, non solo formalmente ma, di conseguenza, anche per i contenuti che rappresenta ed il sistema filosofico che propone.

Yin Yang
Nell'Yin Yang, all'interno del cerchio principale, sono inscritti due cerchi di eguale dimensione, che sono la metà di quello esterno e tangenti tra loro, in modo tale che lo spazio restante, determinato dall'intersecarsi della loro forma, và inevitabilmente degradando ad annullarsi nella forma dell'altro. In sostanza, ciascuno dei due cerchi, stabilisce il proprio spazio specifico e contemporaneamente quello dell'altro, determinando una alternanza di bianco e nero speculare. Qui, la risultante dinamica, che era già presente anche nella svastica, instaura una alternanza tra bianco e nero, alto e basso, luce e ombra, maschile e femminile... paritario e continuo, nella quale nessuno degli elementi prevale. Per precisare meglio questa istanza, va notato che nel centro dei due cerchi costituenti, è "piazzato" un ulteriore cerchio più piccolo, un "seme" dell'elemento opposto. Volendo dare una lettura formale, possiamo affermare che ciascuno dei due elementi costituenti, crescendo, ha nel suo "DNA", parte dell'altro che, giunto a compimento, lo rigenererà in una alternanza che è anche motore del sistema. In definitiva, quello che impressiona di questo sistema grafico compositivo, di questa costruzione spaziale, è la perfezione nella corrispondenza tra forma e contenuto, tra apparenza e sostanza. Nulla è casuale, ed il senso dà luogo ineluttabilmente al tutto. Non c'è scampo. La complessità del pensiero che questa costruzione suppone, si dispiega liberamente e potentemente in ogni direzione dal particolare all'universale e viceversa. Siamo in presenza di una visione del mondo, di una filosofia, che si racconta con tutta la sua coscienza e la potenza di cui è capace, senza dubbi, incertezze o indeterminatezze. Orgogliosa di raccontarsi e raccontarci, la sua complessità e chiarezza, descrivendo inesorabilmente la realtà circostante. Questo simbolo "divino", per semplicità e molteplicità, rimarrà insuperato fino ad oggi, e getta una luce potente su tutti i suoi predecessori. Se l'unità, la totalità, non è altro che l'unione inseparabile nell'alternanza complementare degli opposti, e, se questi opposti, hanno in sé il seme dell'altro, è evidente che il tutto è questo incontro, questa comunione di due elementi estremamente concreti e reali, è evidente che siamo Noi, che Noi creammo Dio a nostra immagine e somiglianza. Questa verità che tutti gli uomini che inventarono gli altri simboli tentarono di tramandarci, vengono qui affermati chiaramente ed inesorabilmente una volta per tutte. No si può fare a meno di considerare quanto questo pensiero così complesso e articolato, e che certamente non si esaurisce nella lettura che ne ho dato ora, sia espresso con un sistema grafico così semplice. Il tutto è costituito da soli 5 cerchi di tre dimensioni, utilizzando solo il bianco e il nero, ma ogni elemento, ogni aspetto della costruzione è qui necessario e sufficiente, anzi ha un suo ruolo comunicativo specifico ed essenziale. Si potrebbe aggiungere il colore, certo, magari un blu, ma a ben vedere non serve, anzi probabilmente svierebbe e impoverirebbe il senso. Come abbiamo visto, il bianco e il nero, qui hanno una ragione ed un significato ben preciso, che qualsiasi altro colore non sarebbe in grado di rappresentare. C'è un altro schema, relativo al quadrato, dove il bianco e il nero hanno una ragione d'essere precisa e necessaria, quello della scacchiera.  La scacchiera, come costruzione formale, allude non all'alternanza, ma alla contrapposizione, alla lotta, alla guerra. Il gioco degli scacchi infatti, la utilizza simbolicamente anche come rappresentazione del "campo di battaglia".

"Scacchiera Internazionale"

Altri simboli, immediatamente derivati da quelli fondamentali, conservano una notevole originalità e forza espressiva e mi riferisco a quelli usati nei vessilli nazionali.
La bandiera giapponese, contraddicendo alla regola che vorrebbe il cerchio associato in astratto al colore blu, acquista proprio per questo un significato espressivo e di contenuto, preciso e potente. Il Giappone, nella disposizione eurocentrica della cartografia occidentale, è il paese più "ad est" del mondo, il paese del Sol Levante; ed il rosso di questa bandiera, così semplice e originale, esprime il carattere guerriero di questo popolo, con una chiarezza e una coscienza paragonabile solo a quanto lo affermavano le croci rosse su fondo bianco che caratterizzavano i vessilli e armature dei cavalieri crociati.

Japan
Vietnam
Turkey

Quella del Vietnam è una bandiera relativamente recente e nella stella, ha in sé i classici contenuti dell'ideologia comunista. Molto più antica e singolare è invece quella della Turchia. Il simbolo caratterizza bene anche la posizione geografica di questo paese, con un diretto riferimento non solo alla cultura islamica, ma anche alla tradizione guerriera degli Ottomani. Contrariamente alla prima impressione di essere una bandiera descrittiva (luna e stella), essa è costruita in modo estremamente rigoroso sui due cerchi tangenti di diverse dimensioni in relazione alla stella, che sembra sovrapporglisi.
Le considerazioni si qui fatte sul contenuto dei simboli, i sistemi di pensiero e i valori ad essi associati, ci portano a considerare ciò che in comunicazione viene chiamo Payoff.
Il "PAY OFF" che letteralmente significa "pizzo", "tangente"; o nel migliore dei casi "profitto", in comunicazione è utilizzato per indicare l'elaborazione verbale che sintetizza il posizionamento dell'azienda o del prodotto a cui si riferisce.
Questa apparente discrepanza, deriva da una serie di storici cambiamenti che ha avuto il termine "Comunicazione". Quella che oggi chiamiamo pomposamente e intellettualmente "Communication" poco tempo fa si chiamava Pubblicità o (inglesizzata come la quasi totalità dei termini utilizzati in questa attività), Advertising, termine che aveva almeno la caratteristica di descrivere il fatto che si trattava di rendere pubblico qualcosa. A ben vedere però, uno dei primi termini utilizzati in Italia, in seguito alla nostra precedente sudditanza culturale verso la Francia, fu Réclame, il che ci porta diretti al nome utilizzato originariamente e che vale per tutti: PROPAGANDA.
Caratteristica di tutte le ideologie e i sistemi di pensiero, la propaganda, ha anche il merito di definirne esattamente anche la funzione: "ciò per cui siamo disposti a pagare" - Il che ci riporta direttamente al payoff, al pizzo, alla tangente, ma anche, quindi, al valore che diamo ad una idea e al potere che essa ha su di noi. Come sappiamo, la propaganda è ed è sempre stata, la più potente arma di coinvolgimento delle masse, sia da parte delle ideologie religiose, che di quelle politiche, caratteristiche del ventesimo secolo.
Religioni, Ideologie e Movimenti (come abbiamo già visto per i simboli) hanno utilizzato la Propaganda per diffondere, nel bene e nel male, i loro contenuti.
Detto questo, risulta quindi evidente, il necessario legame esistente, tra simbolo e payoff. Se consideriamo il simbolo, come l'elemento fondante ed identitario di una qualsiasi ideologia, il payoff ne è l'elemento verbale che ne caratterizza e definisce meglio i contenuti. In realtà esso è già contenuto nel simbolo stesso, ma la sua verbalizzazione, permette di declinare e sostanziare quanto in esso affermato visivamente. Nel simbolo della croce (rossa), il payoff "Ama il prossimo tuo come te stesso", per un verso definisce l'amore quale valore fondamentale dell'ideologia Cristiana, per l'altro prelude alla grande campagna del figlio di dio fatto uomo e della sua passione e morte. Simbolo (logo) e payoff, sono quindi gli elementi fondanti di un'identità (d'azienda), sia che si riferisca ad un sistema di pensiero, ad una ideologia politica o ad una azienda. Generalmente sono i "sacri" ed "inviolabili" elementi su cui si basano gli sviluppi e declinazioni di un "sistema di comunicazione", e non a caso, il libro che li norma e ne stabilisce le regole di utilizzo si chiama "bibbia". La tendenza a creare un sistema di comunicazione che integra e comprende Logo e Payoff, è un'esigenza abbastanza recente ed in realtà un buon Logo o Logotipo (vedremo in seguito la differenza) deve essere in grado di comunicare compiutamente tutti i contenuti sufficienti e necessari alla fondazione della propria identità. Ci sono però esempi di pratiche alquanto diverse. Citerò quello specifico della Benetton.

Logo Benetton
United Colors of Benetton, non è propriamente un logo. Nella sua semplicità formale (il rettangolo allude all'etichetta dei vestiti e il verde ai contenuti "green" che si stavano affermando anche in Italia, ma che erano nati negli anni "70 negli Stati Uniti e poi in Germania) il nome dell'azienda è inserito in una frase che cristianamente racconta ed invita ad una "unione" tra i giovani di quella generazione, con un evidente rimando ai contenuti insiti nella frase: United States of America. Non c'è molto di più. La sua singolarità sta nell'unione tra quello che siamo inclini a considerare un Logo e il suo Payoff. La particolarità del logo Benetton è proprio questa: siamo difronte ad un Payoff che viene assunto a Logo, anzi, più correttamente, a Logotipo. A ben vedere in prima istanza, "United Colors of Benetton" è un concetto di marketing, fà riferimento ai maglioni colorati del sig. Benetton. Solo in seguito, e col lento evolversi della campagna di comunicazione, quello che era un semplice posizionamento di prodotto, diventerà contenuto di comunicazione e verrà coerentemente declinato in tutte le sue potenzialità, investendo di questi contenuti i prodotti, le attività e le iniziative dell'azienda, che a quel punto avranno un chiaro e ben definito solco in cui esercitarsi: dalle campagne sociali alla scuola (Fabrica), dalle azioni di comunicazione, alla rivista (Colors). Altre aziende hanno percorso questa strada. Se pensiamo a Nokia e al suo payoff: "Connecting Peoples" o a Nike "just do it", osserviamo che dopo Benetton, si sono aperti campi di possibilità di comunicazione, tesi non tanto a vendere un prodotto (i telefoni o le scarpe sportive li fanno tutti e in definitiva possono anche non essere mostrati), ma un servizio, un contenuto, un valore aggiunto, una "Mission". Il caso della Nike ha poi dell'incredibile. La parola nike, significa vittoria e fa parte della nostra cultura e della nostra storia. L'azienda se n'è letteralmente appropriata, e "rivenduta" come originale, tanto che attualmente tutti noi la pronunciamo naic o naiki.
Abbiamo visto quanto sia importante lo studio di un marchio in B/N e quanto solo in quella condizione ci si possa rendere conto della possibile struttura formale e di senso. Ma il vantaggio di ogni regola è che la si può confutare in ogni momento, ed il divertimento sta sempre là dove si riesce ragionevolmente a dimostrare che essa non vale e che nella sua negazione, nel suo sovvertimento, si cela l'originalità.
Logo Red Rose
Un'azienda italiana di nome "Red Rose" produce occhiali e vuole ricostruire la propria identità per proporsi sui mercati internazionali, compresi quelli orientali. L'origine del nome è abbastanza oscuro e casuale, e si rifà ad un passato motociclistico che attualmente non esiste più. Ma il nome è quello e non è neanche male. Si presenta quindi l'occasione di sperimentare un pensiero "laterale" ispirato dalle condizioni e dai dati oggettivi esistenti. Tre elementi si presentano come condizioni e opportunità di pensiero: Il nome non ha un significato legato allo specifico campo "merceologico" dell'azienda che si occupa di design e di produzione di occhiali, ed è quindi in un qualche modo legata alla visione. Ma a parte queste considerazioni generali, non c'è nient'altro se non l'opportunità di creare un logo che, proponendosi internazionalmente, non sia legato al linguaggio, alla scrittura, ma che a suo modo riesca a comunicare, indippendentemente da come una determinata lingua designa o pronuncia un nome. Dello stesso tono la campagna: senza headline, senza payoff, senza parole, ma puntando essenzialmente sul senso visivo della comunicazione e con l'ironia dei "RedEyes" amatoriali.

Campagna Red Rose - manifesto
Io Cuore New York...















Un interessante aspetto della comunicazione, che si sta affermando da tempo, è legato all'esigenza di creare delle identità per le città, che comprendano, Logo, Payoff e Campagne di Comunicazione, in grado di attrarre turismo e immigrazione di cervelli e talenti, prevalentemente giovani e prevalentemente legate a eventi culturali e manifestazioni di vario tipo (I Like MyLand). La più nota è sicuramente quella realizzata nel 1976 dall'illustratore di New York Milton Glaser. La qualità grafica di questo lavoro, non è particolarmente interessante; quello che ci interessa mettere in evidenza è il fatto che Logo, Payoff e Azienda (in questo caso la città di New York) sono integrati in un unico meccanismo di straordinaria semplicità e capacità comunicativa. Nonostante nel logotipo "I Love New York" non ci sia nulla di nuovo, e tantomeno segni originali; gli elementi visivi e verbali si integrano in un sistema, in una macchina di comunicazione, che funziona, anche indipendentemente dalla lettura. Il font "American Typewriter", anche se relativamente inusuale rispetto alla cultura visiva hippie e floreale degli anni sessanta, di cui Glaser è uno dei maggiori esponenti; è un font classico della tradizione americana, e il cuore, simbolo molto diffuso e notoriamente ambiguo, non dice necessariamente "Love", ma nella cultura pop di quegli anni (e anche oggi negli "emoticon" della persistente messaggistica extra verbale) ne svolge la funzione, e così viene letto. Nella realtà, progettare o ripensare l'identità visiva e di comunicazione di una città è una sfida molto interessante, un gioco che vale la pena di giocare.



Mi è capitato di proporre diversi approcci e soluzioni che in genere però, pur tenendo in attenta considerazione le indicazioni ed i desideri del committente, si scontrano con atteggiamenti ed aspettative poco coraggiosi e un po provinciali. La cultura visiva delle amministrazioni è molto influenzata dall'araldica o si nutre di esperienze precedenti e (al di là delle dichiarazioni e delle "guidelines" pubblicate nei bandi) è poco incline a considerare la comunicazione un fatto specifico e distintivo. Per fare un esempio molto semplice, avevo proposto alla città di Siracusa, l'adozione della parola "EUREKA" che mi pareva essere un posizionamento molto preciso, universalmente conosciuto e riconosciuto, ricco di contenuti e di valori che, nel mondo, solo Siracusa aveva il diritto, se non il dovere di adottare.
Al di là della sua rappresentazione grafica specifica che in quel momento avevo proposto, si è preferito utilizzare immagini tipo Delfini o altre banalità che ora non ricordo, piuttosto che affrontare il problema dell'identità e della comunicazione istituzionale. Questo tipo di scelte, frettolosamente adottate, vengono abbandonate altrettanto rapidamente, perché appunto non hanno in sè le caratteristiche di diventare "sistema". Costruire un'identità implica, lucidità, inventiva, ma soprattutto coraggio. In genere i fattori da tenere in considerazione sono molti, e coinvolgono la percezione di sè di una azienda, i valori costitutivi e tecnici che si vogliono comunicare, la visione di un futuro a cui si tende. Spesso le aziende commissionano ricerche di mercato, per verificare la propria posizione, la forza della concorrenza o cercare di individuare aspirazioni, desideri o tendenze dei consumatori; a parer mio l'errore è irrimediabile. Si fa fatica a comprendere che seguire le orme di altri o uniformarsi a mode o tendenze in atto, è inutile se non un suicidio. Due esempi per tutti: La Converse "All Star" (ennesimo esempio dell'utilizzo del simbolo della stella a 5 punte), azienda decotta e superata dalla ricerca e dall'innovazione tecnica delle multinazionali dello Sportsystem come la Nike o la Adidas, si è ritrovata, dopo anni e suo malgrado, azienda di successo e diffusa tra i giovani. Il merito, non è stato certo dell'azienda stessa, che per decenni è rimasta ai margini del mercato e della comunicazione. Il motore del cambiamento, è stato generazionale. Da un certo momento in poi, i ragazzi hanno deciso che l'elevato costo di marche più innovative e famose, non era giustificato, anzi, era "sconveniente", e che un prodotto a bassissimo costo (in quel momento le All Star costavano poco più di 20 o 30 euro),
era in sé "contenuto", anche di comunicazione. E anche se le "All Star", erano scarpe poco diffuse, scomode, e molto essenziali, sono ritornate ad essere, proprio in relazione a queste caratteristiche, un prodotto di moda. Da allora, i ricavi ottenuti da questo inaspettato successo, sono stati investiti in nuove proposte di prodotto (puntando più sulla varietà grafica e comunicativa dei modelli che sull'innovazione) e infine su una nuova campagna di comunicazione, che ha saputo rimanere fedele ed interpretare coerentemente i contenuti individuati dai ragazzi. Le recenti campagne della Converse - All Star, sono singolarmente delle semplici campagne di prodotto, ma istituzionali. La maggior parte delle volte, sono dei Close-up di prodotto nei quali il marchio campeggia prepotentemente e la scarpa non è mai nuova, non rispecchia i normali still life patinati dei prodotti delle altre marche, e ovviamente fà intuire situazioni legate alla vita dei ragazzi. Tutto qui, e sinceramente non necessita altro: Logo istituzionale (cha ha già in sè, nella parola Converse dei contenuti propri), prodotto (consumato e sporco), situazione inusuale (suggerita dalla foto). Altro non serve, la comunicazione è semplice e precisa, ed afferma con disarmante evidenza che "Il Prodotto è il Messaggio".



Un'altra azienda, di ben altro peso e diffusione sul mercato, la Diesel, fondata nel 1978 da Renzo Rosso (un anno dopo l'uscita dell'omonimo disco di E. Finardi), non ha mai perseguito una rigorosa politica in riferimento al marchio e si è sempre mossa tra l'immagine americana dell'indiano e un Logotipo nel quale è sicuramente più importante il senso della parola e il payoff "for successful living", che lo stile grafico in senso stretto. Recentemente l'azienda ha realizzato la singolare campagna iconoclasta: "Be Stupid" che evidentemente voleva interpretare provocatoriamente i cambiamenti nel modo di pensare dei giovani. Immediatamente, in rete, ma non solo, sono nate divertenti "contro campagne" che mettevano in luce una posizione ben diversa.


Credo che i due esempi della Converse e della Diesel, singolarmente opposti per intenti e risultati, siano indicativi dell'errore che si può fare nel dare eccessivo peso alle ricerche o alle indagini di mercato (marketing analitico o strategico che sia), che riescono si, se correttamente condotte, a registrare una situazione in atto, ma difficilmente possono prevedere i comportamenti o le mutazioni di un modo di pensare di un gruppo sociale.



NEL NOME DI - Acronimi e Logotipi

L'uso di acronimi, criptogrammi o logotipi è diffuso da tempo, e come per altre forme di comunicazione, le grandi ideologie storiche insegnano. Nell'era moderna i più riusciti, sono senz'altro quelli delle case automobilistiche, i cui loghi si sono man mano evoluti dal semplice e diffuso Logotipo o dal pittogramma a più sintetiche e concettuali operazioni di restyling più o meno riuscite. Uno straordinario esempio di sintesi e capacità di integrazione e concentrazione di contenuti è sicuramente il logo della Mercedes. Esso coniuga efficacemente la forma primaria del cerchio, che in questo caso, oltre al senso di "tutto", di sistema, rimanda ovviamente e sinteticamente alla casa automobilistica, con il simbolo universalmente accettato e riconosciuto della stella, quale rappresentazione della qualità. Il payoff: "Das Beste Oder Nichts", sottolinea ed accentua, sostanziandolo, anche commercialmente, e posizionando la casa automobilistica rispetto ai concorrenti.
Il logo della Volkswagen (letteralmente "vettura del popolo"), per fare un esempio storico molto apprezzato nel mondo della grafica, è nato nel 1937 per volere di Adolf Hitler, con lo scopo di dotare il popolo tedesco di una automobile a buon mercato alla portata delle classi meno abbienti.


L'acronimo VW ha subito notevoli evoluzioni del tempo (restyling), pur rimanendo fedele a se stesso. Si possono fare innumerevoli considerazioni su questo logo, ma qui importa sottolineare ancora una volta come esso, utilizzando la sintassi dell'acronimo, sia in sé forma e contenuto ad un notevole livello di sintesi e con un struttura grafica articolata, ove V e W si integrano e completano in una ulteriore W più grande e che si inscrive perfettamente nel cerchio esterno (ripreso in molti loghi automobilistici, come la BMW, la Volvo, la Skoda, la SAAB, l'Alfa Romeo, la Opel, la Nissan, la Smart e recentemente anche la Fiat), ricordando all'indietro il senso del "tutto" e in avanti la struttura, quasi descrittiva, di una ruota. A questo proposito è interessante notare che molti loghi delle case automobilistiche insistono (diremmo ovviamente), sul tema del cerchio. Tra i tanti, secondo me, è interessante quello di un'altra casa automobilistica tedesca nata più o meno nello stesso periodo storico, quello dell'Audi. Questo simbolo è composto da quattro cerchi che ricordano un pò quello delle olimpiadi, quattro cerchi e nulla più. L'unico altro elemento presente, è il logotipo Audi, anch'esso caratterizzato graficamente e in grado di vivere anche separato dal tutto.

Il logotipo è una forma grafica interessante e utile perché abbina logo e nome, rendendo possibile nello stesso segno una notevole semplificazione della comunicazione. Ho chiesto spesso ai miei studenti di provare a "comunicare" la propria identità, utilizzando unicamente il loro nome. Gli elaborati realizzati dagli studenti, sono sempre molto interessanti, e permettono di fare alcune considerazioni generali. Darsi un'identità, come se si fosse un'azienda, non è facile, perché intervengono diversi fattori inerenti sia la percezione di sé che i contenuti oggettivi che si desiderano comunicare. Inoltre, il fatto di dover utilizzare unicamente il proprio nome, senza la possibilità di aggiungere alcun segno ulteriore, costringe a prendere in considerazione, e quindi a dare rilievo prevalentemente ad istanze creative e di scelta di stile/mezzo. Infatti, come si può osservare da alcuni esempi qui a fianco, diventa importante, se non essenziale, riuscire a individuare un'idea visiva e formale, in grado di diventare (se non identificarsi) uno stile e un contenuto in grado di veicolare le caratteristiche dell'Azienda. Poco importa scoprire o indovinare cosa ci stanno vendendo o la "mission" che viene proposta. Questi che vediamo, potrebbero essere logotipi di una casa farmaceutica, di un'azienda produttrice di giocattoli, di una casa cinematografica o una software house.





Quello che a mio avviso è interessante osservare in questi lavori degli studenti, è che tutto lo sforzo creativo, va nella ricerca di una originalità linguistica molto forte, decisamente personale ed originaria, che è proprio la caratteristica principale auspicabile per un Logotipo. In effetti in questi esercizi si rendono immediatamente conto delle caratteristiche che un logo, l'identità e il conseguente posizionamento di una azienda, deve avere. Parola, mezzo, stile e contenuto, formano un unicum sintetico e coerente. E si badi bene, non è che l'uno sia in funzione dell'altro, che siccome si vuole dare un senso preciso, di conseguenza debba essere realizzato in un certo modo; gli elementi fondamentali, forma e contenuto, nascono insieme, l'uno determina l'altro, automaticamente, sono così o non sarebbero. Negli esempi meglio riusciti, non potrebbe essere altrimenti, non ci sono soluzioni "altre", esse darebbero luogo, infatti, ad altre personalità, ad altre identità.
Un altro aspetto che vale la pena di osservare, è l'utilizzo di soluzioni che potrebbero essere considerate "extra grafiche", che non rientrano cioè nel linguaggio che in genere viene considerato grafico in senso stretto, col solo utilizzo di un segno, di un carattere, e in bianco e nero. In molti dei Logotipi realizzati dagli studenti, si fa un gran uso di cuciture, spilli, bulloni, vetri, sale, ghiaccio, figure e lettering non codificati, tendenza che però, in questi casi, io considero per molteplici ragioni, molto positiva.
L'utilizzo di elementi "extragrafici" ci aiuta ad ampliare i nostri orizzonti su cosa può a buon ragione essere considerato segno, logo o logotipo, al di là delle convenzioni. Un'immagine, una foto, può svolgere la funzione di logo? Certamente si, specie ora che i reali ed effettivi utilizzi di un logo non sono più solo quelli classici della "immagine coordinata" (carta da lettera, buste, biglietti da visita etc.) ma devono mantenersi originali e significativi anche su molti altri mezzi di comunicazione destinati al web o a tutte le device che utilizziamo.
Rimane comunque fondamentale conoscere e saper utilizzare gli strumenti e le valutazioni compositive della grafica pura in B/N, così come credo sia importante, volendo, essere in grado di "schizzare" un'idea con una semplice matita su un foglio bianco, invece di buttarsi a "pasticciare" a caso col computer, assoggettando la nostra idea, il nostro gusto a quanto "lo scemo veloce" è in grado di fare, invece di "costringerlo" a fare quello che abbiamo in mente.
Attualmente, nonostante sia possibile l'utilizzo di tavole grafiche e ebook, si tende ancora ad utilizzare il computer direttamente e senza quella libertà necessaria affinché esso sia e rimanga uno strumento nelle nostre mani. Spesso infatti per vari motivi (pigrizia o difficoltà nel credere alle proprie possibilità), si tende ad utilizzare il computer per quello che sa fare, piuttosto che per quello che non sa o non è stato progettato per fare.
Da sempre gli artisti, nel senso più lato del termine, hanno utilizzato gli "errori" delle macchine, i malfunzionamenti, e questo non per amore della stranezza, ma perché in essi spesso e da essi nascono le cose interessanti. Utilizzare il computer per quello che sa (che tra l'altro spesso è una copia, uno scimmiottamento delle consolidate tecniche non digitali) produce nella maggior parte dei casi, lavori tutti uguali, progetti che utilizzano tutti, gli stessi colori, gli stessi font, gli stessi filtri e così via. Per fare un esempio, la cosa più interessante che ho sempre trovato in uno schermo televisivo è il fatto che spesso perde il segnale e ci regala immagini assolutamente inaspettate, originali e dense di contenuti.
In definitiva mi affascina di più il Fruscio di fondo dell'assenza di segnale (quella pazzesca miriade di pixel RGB in movimento) che le stereotipate immagini che i nostri programmi televisivi ci propinano in continuazione.
Ma è indubbio che ora, specie nel campo dei loghi si sono aperti orizzonti che precedentemente non erano facili da maneggiare. La cosa importante, secondo me, rimane comunque il significato. E mi spingerei fino all'affermazione che, in alcuni casi ben precisi, anche la funzione e l'integrità di un logo possa essere messa in discussione, ripeto, dipende dal senso che la cosa ha nel caso specifico.


"One Day it Works"
La Replay, nota azienda italiana di jeans, mi aveva chiesto una proposta di riposizionamento del Brand e una nuova campagna di comunicazione.



Riflettendo sul nome "REPLAY" e sui contenuti di costante rinnovamento che l'azienda aveva sempre portato avanti, avevo formulato il payoff "One day it works" che in un certo senso chiudeva il ciclo comunicativo in senso positivo. Ad esso sembrava assurdo associare il banale logo statico e immutabile utilizzato dall'azienda fino ad allora e ho pensato così di utilizzare anche il logo con quella libertà e promessa di cambiamento, di evoluzione continua, che i contenuti dell'azienda proponevano. Il risultato fù una campagna di comunicazione in cui il logo si adattava di volta in volta alle immagini dei vari soggetti. Il protagonista diventava il cambiamento in quanto tale e rimaneva inalterato il contenuto. Il logo era il contenuto della comunicazione, ed a quello l'azienda doveva rimanere fedele. L'associazione sequenziale del logo REPLAY - One day it works (payoff), per me rappresentava una possibile evoluzione della comunicazione, nella continuità e nell'approfondimento dei contenuti, introducendo una variabile, una novità, che fino ad allora nessuno aveva tentato (l'inalteranza del font e della grafica), che in quel momento era molto innovativa e spostava l'attenzione dal solo aspetto grafico ad una complessiva valutazione di posizionamento.
Mi è anche capitato, di proporre a una azienda di moda che voleva porre l'accento dei suoi prodotti e della comunicazione sulla qualità e sulla sensazione tattile della sua produzione, un Logotipo realizzato in alfabeto Braille, e che quindi avrebbe dovuto essere sempre riprodotto in rilievo. Come spesso succede, quando si avanzano soluzioni creative coerenti ma coraggiose, l'azienda, nonostante fosse affascinata dall'idea di utilizzare una soluzione così diversa, non ha avuto il coraggio di adottarlo. Io però rimango dell'idea che ciò avrebbe fatto la differenza e l'originalità di quella azienda, caratterizzandola con una immagine precisa e correttamente posizionata. In definitiva credo che l'aspetto fondamentale che debba essere tenuto in considerazione in un logotipo sia l'originalità o almeno la distinzione rispetto a tutto il resto. E che questo sia il risultato a cui si deve pervenire, costi quello che costi. Le regole esistono, "sacrosante" ma in ultima analisi esistono per essere scientemente negate, distrutte, superate. Infatti i concetti a cui facevo riferimento poco sopra, hanno già subito ulteriori evoluzioni, diventa sempre più possibile e auspicabile cominciare a progettare Loghi e Logotipi animati. Non che quelli statici non siano più apprezzabili, ma considerarne entrambi gli aspetti e le possibilità, fin dalla prima progettazione. Già da tempo con i miei allievi stiamo progettando tenendo conto del fatto che, essendo prevalentemente destinati al web, è possibile ed interessante considerare l'idea che un Logo possa essere, non solo animato, ma un programma, che preveda sia il mutamento periodico che, in ultima analisi, la mutazione continua, in qualcosa che, nel cambiamento, mantenga la propria identità. E' evidente che in questo campo di ricerca, la predominanza non è più vincolata alla forma, ma alla trasformazione, e nello specifico, al sistema, al tipo, allo stile della trasformazione.



Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una critica sempre più stretta al fenomeno del Branding e del trasferimento delle risorse economiche delle aziende, dal prodotto in senso stretto, alla creazione di valori immateriali collegati al marchio. Un esempio significativo di questo movimento contrario alla globalizzazione dei marchi e dei prodotti, è stato il saggio "No Logo" di Naomi Kline. A ben vedere è singolare che proprio questo movimento e la Naomi Kline stessa, per veicolare quei contenuti, si siano dotati di un Logotipo, che è diventato noto in tutto il mondo. Nel nostro sistema di produzione delocalizzato e composto prevalentemente da aziende che assemblano parti, e che possono quindi essere prodotte in qualsiasi parte del mondo, alla ricerca del minor costo di produzione e di manodopera, i valori immateriali legati al design e alla comunicazione diventano fondamentali. In realtà, come abbiamo visto in precedenza, la funzione di un logo, specie di un logotipo, è proprio quella di veicolare contenuti e non prodotti. È sempre stato così e maggiormente ora che i componenti di un computer, o di un cellulare, sono pressoché gli stessi e le differenze tra i prodotti sono sempre più legate a caratteristiche immateriali, ciò nonostante, possiamo affermare che "Il Prodotto è il Messaggio" e lo possiamo dire proprio nella sua duplice valenza; sia nel senso sopra rilevato, che oggi quello che differenzia i prodotti, sono essenzialmente le sue caratteristiche di comunicazione, ma anche che, spesso, forse sempre, la comunicazione di un prodotto, deriva direttamente, da esso, dai suoi elementi costitutivi, dal suo utilizzo, dal suo essere una cosa piuttosto che un'altra. In definitiva, mi sentirei di dire che un prodotto innovativo, se consideriamo attentamente la sua natura, la sua qualità intrinseca, definisce e definirà facilmente la sua comunicazione, e che proprio per questo sarà innovativa anch'essa. Così come forme e contenuti, logo e azienda, prodotto e messaggio, si rincorrono vicendevolmente, l'uno definisce e genera l'altro, in un continuo rimando reciproco, che non è mai esterno, aggiunto, appiccicato, ma concorrono vicendevolmente al costituirsi e alla definizione del senso.

Quando si accende un Nokia, la prima cosa che appare, insieme al suono, (che come vedremo è diventato un carattere essenziale della comunicazione associata ai marchi) sono due mani che si incontrano, si uniscono, presumibilmente di un padre e un figlio, e che ricordano moltissimo il dipinto di Michelangelo della creazione di Adamo, della Cappella Sistina. Questo brevissimo spot iniziale, ci comunica immediatamente che la Nokia, la sua missione, non è tanto costruire telefoni, ma mettere in comunicazione le persone, ed infatti, questo valore immateriale, distintivo e istituzionale, viene sottolineato in modo esplicito dal payoff di Nokia: "Connecting People". A questa immagine, che è a tutti gli effetti un sintetico spot istituzionale, viene associata, probabilmente per la prima volta nella storia di un logo, una musica di quattro battute del "Gran Vals" di Francisco Tárrega nota col nome di "Nokia Tunes" e che può considerarsi la musica più ascoltata del mondo. In definitiva, l'utilizzo del suono, favorito dai nuovi mezzi di comunicazione e la conseguente nascita dei sound designer, ha ulteriormente ampliato le possibilità di comunicazione di un logo, e ha trasformato, in questo caso, la semplice accensione di un dispositivo in una vera e propria occasione di comunicazione istituzionale, basata su pochi precisi elementi e con una notevole forza comunicativa.

"Nokia tune"; in Tárrega's Gran Vals, the final A is two octaves lower.
Questo fenomeno, che si è imposto, diremmo necessariamente, nel campo della telefonia ed in relazione ad altre device che oggi utilizziamo, ha da tempo investito e caratterizzato anche altre tipologie di aziende e di prodotti presenti sul mercato. Loghi di aziende automobilistiche, computers e case di produzione cinematografiche, sono ormai indissolubilmente legati a suoni e/o musiche associate alla loro immagine, tanto che spesso arrivano a sostituirla. A mio avviso, queste ulteriori possibilità di utilizzo di vari mezzi di comunicazione che possono contenere segni, suoni e immagini animate, e forse anche in seguito alle riflessioni indotte dal movimento No Logo, hanno indotto, negli anni, a ideare soluzioni che potessero escludere l'aspetto grafico/visivo della comunicazione istituzionale. Per quanto mi riguarda, ho trovato molto divertente e interessante progettare, ad esempio, il logo e la confezione di un profumo, che non prevedesse un nome, e per il quale, proprio perché di un profumo si trattava, tutte le "istanze comunicative" venissero demandate all'olfatto e non necessariamente e/o unicamente alla vista. Oppure, così come avevo fatto per il logo a rilievo in braille per la Belfe, dove il tatto diventava il vero senso portatore di significato e in grado di decifrare il messaggio. Recentemente, con gli studenti del mio corso dell'ISIA di Firenze, stiamo realizzando il logo per la Scuola di Musica di Fiesole, basandoci prevalentemente sull'udito e meno sull'aspetto visivo.

Un logo molto interessante per storia, forma e contenuti, è senz'altro il logo Apple. Quello riprodotto è l'originale che comprendeva i colori della scala cromatica di Newton e il payoff "Think different." in Garamond. Il simbolo della mela è molto antico, ed è stato utilizzato con molteplici significati nell'iconografia di molte culture. La mela, specie se morsa, ha un significato sessuale e di seduzione, fà riferimento al peccato originale, ma anche al desiderio di conoscenza e al libero arbitrio. Tanto che, nel dipinto di Michelangelo dedicato al tema, il serpente non propone ad Eva una mela, le mani sono vuote, semmai si possono scorgere tra le due mani delle foglie che nella loro configurazione compositiva, ricordano un pene.

La storia di questo simbolo percorre dunque tutta la storia dell'uomo, dal "Pomo della discordia" alla mela del peccato originale (The Original Sin) alla mela avvelenata di Biancaneve (di cui la versione del 1937 della Disney è forse la più famosa), alla mela di Newton (aneddoto ispiratore del primo logo Macintosh), e di Guglielmo Tell, e così via fino alla casa discografica dei Beatles del 1968 e a quella di MacIntosh del 1976 (varietà di mela originaria del New England). La mela è un'icona, meglio, un simbolo, e in quanto tale, è il contenuto che esso esprime come simbolo, e che comunica se stesso, esente dall'esigenza di essere scritto, di diventare Logotipo. Macintosh, non associa mai il logo con la parola, e si riserva di scrivere Apple, quasi esclusivamente nelle comunicazioni commerciali (Apple inc.). In riferimento ai contenuti del logo, voglio sottolineare come il concetto di "Original Sin" sia preciso ed esaustivo dei contenuti insiti nel prodotto Apple. Steve Jobs, che aveva lanciato uno dei primi Macintosh con uno spot di una ragazza che con una mazza disintegrava uno schermo televisivo, ha sempre cercato di posizionare Macintosh come un computer friendly e dedicato al grande mercato dei non addetti ai lavori. Il "Peccato Originale" a cui si fa riferimento, è quello della trasgressione, della rottura e della ricerca, che caratterizzano il valore e la tensione a, di coloro che si occupano di creatività, di arte e di grafica, (sottolineato nella prima versione, anche dalla presenza della scala di colori di Newton),  ed è questo il significato esplicito del payoff "Think different." Concetto che egli stesso avrà modo di esporre chiaramente e con forza nel discorso ai neolaureati dell'università di Stanford.


Il recente logo tridimensionale della mela di Macintosh, è uno dei tantissimi esempi della attuale tendenza che hanno assunto i loghi, favorita principalmente dalle minori preoccupazioni di riproduzione e dalle esigenze del web. Inoltre, grazie alla notorietà ormai raggiunta dalla mela e al suo consolidato posizionamento, sono spariti anche la scala colori di Newton e il payoff "Think different". D'altro canto, l'icona della mela morsa, rimanda direttamente e inequivocabilmente alla citazione che Steve Jobs fà nel discorso alla Stanford University. "Stay hungry, stay foolish." tratta da "The Whole Earth Catalog" e pronunciata in quell'occasione alla fine del suo intervento. Stay hungry, stay foolish, è la puntuale descrizione verbale dei contenuti nel simbolo della mela morsa di Macintosh, la sua "missione". Steve Jobs è prima di tutto un grande innovatore della comunicazione, estremamente cosciente dei contenuti e del valore, anche economico, di un marchio. Questa coscienza, l'ha indotto a pagare mezzo miliardo di dollari alla casa discografica dei Beatles, pur di possederne i diritti di utilizzo. Per questo motivo, ideare e creare un logo, e quindi l'identità di una azienda, così come di un movimento o di una ideologia, è sempre una sfida interessantissima ed eccitante. Si tratta di "Mettere al Mondo il Mondo", di creare nel modo più preciso, originale, essenziale e coerente possibile, qualcosa che è destinato a durare nel tempo, a diventare Identità. Magari anche evolvendosi, ma mantenendo costanti i motivi ed i contenuti che l'hanno generato e che sono sì legati a quel momento, a quelle idee che, diciamo così, erano nell'aria, ma che alla fine, sono destinate a rimanere e a consolidarsi. D'altronde una mela è una mela, e se è arrivata fino a noi, intatta ma mutevole e piena di significati, un motivo ci sarà.